Giro sul Vioz (2001)

Giovedì e Venerdì 23 e 24 agosto 2001

La sveglia suona alle 6:00 e dopo aver preparato le ultime cose negli zaini si parte da Lavarone alla volta di Trento, dove due amici, Franco e Carmen, ci aspettano per andare insieme a fare questo giro. Da Trento partiamo in direzione nord e arrivati a Mezzocorona svoltiamo a sinistra imboccando la Val di Non per raggiungere la Val di Sole e più in particolare Pejo. Pejo è un paese costituito da diverse frazioni ed è conosciuto per la sua acqua. Noi (Michele, Gianni, Mariagrazia, Franco e Carmen) dobbiamo raggiungere Pejo Fonti che è il luogo da cui parte l'impianto di risalita che ci porterà all'inizio della camminata. Da Pejo Fonti parte un'ovovia che ci permette di raggiungere la partenza di una seggiovia che, arrivando a quota 2400 metri s.l.m. , ci permette di risparmiarci circa 1000 metri di dislivello faticoso.

L'ovovia parte da una quota di 1397 metri s.l.m. e la seggiovia arriva a quota 2350 metri s.l.m.

Nella foto sottostante è possibile vedere l'arrivo della seggiovia e l'inizio del sentiero che sale al Vioz.

La prima parte di sentiero risale il pendio che sta di fronte all'arrivo della seggiovia, fino ad arrivare ad una selletta attraverso la quale il percorso continua sull'altro versante della montagna.

Il sentiero da seguire é il numero 105.
La salita fino alla selletta dura circa mezz'ora e si snoda verso l'alto a zig-zag.

Arrivati sull'altro lato della montagna il paesaggio cambia completamente, lasciamo il rifugio e l'arrivo della seggiovia per ammirare solo montagne e valli, senza costruzioni umane. Adesso il sentiero non sale più a zig-zag, ma più o meno segue la cresta della montagna che sale verso la cima.
Proseguendo si cominciano a vedere nei valloni più riparati le prime lingue di neve che non si è ancora sciolta dall'inverno (e che probabilmente non si scioglierà più) ed in alcuni tratti è necessario passarci in mezzo per poter proseguire.

Continuando a salire, il sentiero cambia versante alcune volte passando da una valle molto ampia e verde dove é possibile vedere sull'altro lato un lago artificiale, ad una valle molto più stretta e completamente coperta di pietre nel mezzo della quale scorre un torrente generato dal ghiacciaio soprastante.
Ormai siamo quasi a quota tremila e la fatica comincia a farsi sentire ma la vista sulla valle e su Pejo ci riempie di soddisfazione.


Ormai siamo arrivati alla stessa quota del ghiacciaio che genera il torrente che scende verso Pejo e da quí possiamo notare che ci sono anche due piccoli laghetti con l'acqua color verde smeraldo. Manca ancora un bel po' di strada da fare prima di arrivare al rifugio che ci ospiterà per la notte, quindi è meglio darsi da fare e camminare.

A questo punto manca circa mezz'ora al rifugio e il sentiero comincia ad aumentare la sua pendenza ed in alcuni casi si rende necassaria qualche opera di aiuto ai camminatori come le scalette raffigurate nella foto sottostante, in cui Carmen sembra molto felice di dover salire ancora un po'.
In alcuni punti particolarmente esposti o a strapiombo il sentiero è attrezzato di cordino metallico.

Finalmente siamo in vista del rifugio Mantova al Vioz e dellla cima e sono le tre e mezza di pomeriggio. Arrivati al rifugio ci sediamo sulle panchine e ci mangiamo i panini che abbiamo nello zaino. Dopo esserci ripresi dalla fatica andiamo nel rifugio a vedere i letti che avevamo prenotato, li prepariamo e li proviamo subito per un'altra mezzoretta.

La salita dura in tutto quattro ore e mezza comprendendo diverse soste ristoratrici piú una per il pranzo anche se sulla tabella all'inizio del percorso é segnato tre ore e mezza.

Quando sono le cinque e mezza ed io (Michele), Gianni e Franco non vogliamo rimanere li a dormire fino a ora di cena e decidiamo di andare sulla cima il giorno stesso, tanto saranno solo 20 minuti di camminata dal rifugio.
Dalla cima é possibile vedere verso ovest la cima del Granzebru nonostante il tempo non sia dei migliori come é possibile vedere nella foto.

La cima è alta 3645 metri ed è a breve distanza dal rifugio, uno dei più alti presenti da queste parti.

Verso ovest c'é un'altra cima che è facilmente raggiungibile attraversando un nevaio, arrivati quasi dall'altra parte del nevaio i troviamo un mucchio di bombe e resuduati bellici tutti sparpagliati nella zona attorno ed é meglio stare attenti a non toccarle che non si sa mai....

Dopo il ragguingimento dell'altra cima torniamo al rifugio per vedere cosa fanno le donne della "spedizione" e perché ormai è ora di cena. Per cena ci sono pizzoccheri, formaggi e/o arrosto, veramente tutto buono e dopo la scorpacciata andiamo fuori a prendere un po' d'aria. Ormai é quasi notte e io (Michele) scatto alcune foto al paesaggio notturno.

A quest'ora (le nove di sera) a 3535 metri fa fresco (7º centigradi) e quindi torniamo dentro al calduccio e facciamo un po' di partite a carte; quando ormai siamo abbastabza stanchi andiamo di sopra a dormire, o meglio a provare a dormire.
Sarà l'altitudine, sarà la mangiata, sarà il vento, non siamo riusciti a dormire più di due ore a testa.

Quando poi inizia a filtrare dalla finestra un po' di luce e guardo fuori faccio subito una foto, prima di uscire dal sacco a pelo.

Dopo esserci alzati e ripresi dalla nottata in bianco scendiamo al piano terra per fare colazione. Il pasto è costituito da fette biscottate, marmellate, burro e thé o caffellatte.
Con la pancia piena siamo pronti per rimetterci in marcia e andare fino sulla cima ma Carmen non se la sente. Mariagrazia invece non vuole rinunciare alla cima anche perché non crede che ci tornerà per farlo un'altra volta e così io (Michele) e lei andiamo su.
In cima c'é un pilastro di ferro a forma di tetraedro (una colonna triangolare) e basta, la croce che si vede li vicino é un segno in ricordo di qualcuno che è morto.

Dopo aver fatto qualche foto sulla cima torniamo al rifugio dove Gianni ci aspetta mentre Franco e Carmen si sono avviati qualche minuto prima. Il ritorno è molto più comodo dell'andata e infatti in due ore e mezza siamo a valle, in alcuni tratti si può quasi accennare una corsetta e in un punto io e Gianni tagliamo un tornante scendendo lungo una lingua di neve.
Arrivati in fondo mangiamo i panini rimasti dal giorno prima e poi prendiamo la seggiovia e poi l'ovovia per arrivare alla macchina e tornare a casa.

La discesa, senza soste, dura in tutto due ore e mezza, ma il giorno dopo si fa sentire nei muscoli delle gambe.

Michele, Gianni, Mariagrazia, Franco e Carmen

Aggiornato al 22/04/2008 11:11:16